Siamo un gruppo autoconvocato di ricercatori/trici, attivisti/e, operatori/trici critici di enti di tutela e di accoglienza che - a partire dall’esperienza di Parma - hanno deciso di avviare una mappatura partecipata dei campi di transito sorti in diverse parti d’Italia.
Il problema: campi senza diritti #
Ci troviamo di fronte a una fattispecie nuova, benché in continuità con gli approcci emergenziali e securitari con cui sono gestiti i fenomeni della migrazione illegalizzata. La progressiva destrutturazione e delegittimazione del sistema pubblico di protezione e accoglienza, già evidente nella politica dei Centri di Accoglienza Straordinari (CAS) e nello svuotamento dei servizi e dei diritti per i richiedenti asilo, ha subito nel 2023 una repentina accelerazione. Dal cosiddetto Decreto Cutro (poi convertito in legge), alla dichiarazione dello stato di emergenza, fino al Decreto (19 settembre 2023) che potenzia i Centri per il Rimpatrio (CPR) - moltiplicandoli in numero ed estendendo il tempo di permanenza al loro interno - tutta una serie di provvedimenti normativi, con immediate ricadute sui territori e sui migranti in arrivo, hanno destato la preoccupazione e lo sdegno di una parte della società civile.
In questo scenario sottoposto a repentini - quanto peggiorativi - cambiamenti, si colloca anche l’istituzione di un nuovo tipo di centri - che possiamo denominare “campi di transito” - che sfuggono al presidio degli enti di tutela e persino delle istituzioni locali. Si tratta di centri ancora più difficili da conoscere e osservare rispetto ai già opachi CAS o dei CPR, di cui quantomeno si conoscono i bandi, le procedure di assegnazione, i capitolati e verso cui - se pur con grande fatica e non sempre successo - sono state istituite prassi di controllo, monitoraggio civico e denuncia.
Questi nuovi campi configurano una nuova forma di “accoglienza” straordinaria e provvisoria. In caso di flussi migratori massicci e per sopperire alla indisponibilità di posti negli altri centri, le prefetture sono autorizzate ad attivare “altre” strutture provvisorie - oltre ai già noti CAS - dove i diritti e le garanzie per gli accolti sono davvero ridotti ai minimi termini. Quel che si sa è che la durata della permanenza all’interno di queste strutture non è definita e che viene totalmente esclusa ogni forma di assistenza sociale. Ma poco altro è noto all’esterno, quantomeno rispetto alla cornice giuridica e procedurale che regola questi campi.
Quando poi si riesce a varcare fisicamente la porta di questi luoghi, si scopre una realtà ancora più opaca e inquietante: dalla difficoltà a ottenere adeguato orientamento e assistenza legale, al muro di gomma per la procedura di asilo, fino alle condizioni di promiscuità (persino tra minori non accompagnati e adulti, soli o in nuclei familiari) e all’abbandono in cui versano le persone presenti, persino quando manifestano evidenti problematiche sanitarie e/o sono visibilmente provate non solo dal viaggio ma dall’intera esperienza migratoria.
Il progetto Stuck in Transit #
Sulla base delle prime evidenze riscontrate a Parma da parte dell’ente di tutela CIAC è nata l’urgenza di comprendere cosa sta accadendo nei diversi territori, dal sud al nord della penisola: quali e quanti campi sono stati aperti, dove, con quali gestori, con quali atti formali e quali prassi operative. Per farlo abbiamo deciso di avviare una mappatura partecipata, dal basso, che viaggi velocemente attraverso i canali dei contatti diretti e del passaparola per raccogliere segnalazioni e informazioni, anche frammentarie, cui far seguire un approfondimento diretto, per verificare e validare i dati raccolti.
L’obiettivo è la realizzazione di una mappatura per far emerger pubblicamente la presenza di questi centri, la loro distribuzione sul territorio, la loro composizione, mettendo al centro l’impatto che hanno sulle persone lì rinchiuse e il ruolo che assumono nel sistema di accoglienza.